Forno Sammarco sul bimestrale VeNews (01/2020)
Bocconi di pane
Antonio Cera è un innovatore nel campo della panificazione.
Dalla Puglia il suo Forno Sammarco – a San Marco in Lamis (Foggia) – è divenuto un centro di propulsione per una nuova cultura di questo elemento basilare del nostro quotidiano. Da sempre il pane è fondamento essenziale nella nutrizione e simbolo di condivisione, quindi, a maggior ragione parlando di festività, la presenza del pane in tavola diventa imprescindibile. Cera, laureato in Economia alla Bocconi, lavora in Puglia assai vicino alla Grotta di Paglicci, dove è stata ritrovata la farina più antica del mondo risalente a 32mila anni fa. È ideatore di Grani Futuri, manifestazione interamente dedicata al pane, e del Manifesto Futurista del Pane, il cui obiettivo principale è creare una cultura, sia in chiave gustativa che nutrizionale, attorno questo elemento cardine delle nostre tavole.
Come è cominciata la passione per il pane?
Per me ogni momento della giornata è riconducibile al concetto di lievitazione, un’emozione sempre diversa che si rinnova di giorno in giorno. Provengo da una famiglia che pratica da secoli l’agricoltura; siamo divenuti panificatori negli anni Sessanta, applicando il concetto di prendere quello che la nostra terra sa offrire, valorizzando il nostro grano, molandolo, portando avanti convinti questa filosofia. È stata la novantunenne zia Maria, la sorella più grande di mia madre, che lavora ancora ogni giorno con noi, a trasformare il forno in un forno sociale. Era uno spazio aperto a tutti, in cui era possibile condividere le proprie ricette, nell’ottica di uno scambio di idee e di prodotti continuo. Mia mamma e le zie hanno ancora oggi un ruolo primario nel panificio. Lina è il direttore della produzione: impasta e controlla la qualità di tutti i prodotti. Da noi il lavoro manuale è alla base di tutto, dal reperimento alla manipolazione degli ingredienti, con grande attenzione per la gestione del lievito madre e dell’impasto. Siamo soliti, ad esempio, rompere a mano tutte le uova che ci servono per preparare il Panterrone e gli altri dolci, ed è proprio zia Maria che rompe e separa i tuorli dagli albumi, da un minimo di 500 a oltre 3.000 uova al giorno a seconda dei periodi, e non è propriamente un passaggio banale questa mansione. Fa parte del controllo della filiera, è il nostro concetto di economia circolare famigliare, in cui tutto o quasi veniva autoprodotto e qualcosa veniva barattato. Voglio cercare di valorizzare al meglio gli agricoltori e i prodotti del territorio in cui vivo, però quando trovo dei prodotti fantastici altrove, come i canditi di Corrado Assenza (Caffè Sicilia di Noto, ndr), creo una connessione, in questo specifico caso mandandogli i frutti del nostro orto affinché li possa candire, perché ritengo che il suo lavoro rappresenti un ingrediente fondamentale per la nostra produzione finale del Panterrone, “un panettone di terra” dall’impasto leggero e delicatissimo, realizzato con grano tenero e in venti varianti, spesso impreziosite, appunto, dai frutti canditi di Corrado. Ha un gusto insolito a un primo assaggio, ma è un mix di sensazioni e aromi che rappresentano un omaggio alla terra in cui nasce.
Il pane in tempi recenti sembrava aver perso il suo ruolo di re della tavola.
Noi il pane lo chiamiamo “orma”, come le impronte lasciate dalle mani che lo lavorano. È un richiamo alla vita. L’impasto di acqua e cereali macinati tra due pietre cotto su una pietra rovente è stato il primo pane della storia. Il nostro è il Paese che ha un tipo di pane diverso in ognuno dei suoi circa 8.000 Comuni, anzi, in ogni frazione di ogni comune. Purtroppo, però, la cultura della panificazione è divenuta progressivamente sempre meno valorizzata. Capita sempre più spesso che anche negli alberghi più lussuosi venga servito il solito panino del quale non si conosce la provenienza: si tratta di pane che non crea né emozione, né cultura. E quindi, proprio approfittando del periodo delle festività, serve riprendere la buona abitudine di riportare il pane al centro della tavola. Nessun altro piatto può essere condiviso come il pane: il gesto dello spezzare il pane ha in sé la sacralità di un rito ancestrale. Io consiglio il pane di sempre, prodotto con un grano buono, sano, senza andare troppo nei dettagli, nella tecnica. Un pane fatto con il grano di qualità, insomma. E poi non c’è modo migliore per iniziare ogni pranzo di una fetta di pane con l’olio! Acquisto il grano da agricoltori del territorio circostante. Ai grani antichi aggiungo quelli siciliani, abruzzesi, piemontesi e lucani. Ogni settimana il forno realizza un tipo di pane, frutto di un mix unico di grani antichi, a seconda delle farine disponibili, come farro dicocco, grano duro Senatore Cappelli e Maiorca oppure, ancora, Solina, farro monococco e grano arso.
Il Manifesto Futurista del Pane. Ci spieghi un po’ questo “movimento”.
Con Grani Futuri e con il Manifesto Futurista del Pane sto cercando di realizzare un qualcosa di inimmaginabile sino a oggi: la creazione di cultura abbinata allo sviluppo di un certo modo di coltivare, di macinare, di utilizzare un grano e alla creazione di economia. Oltre a favorire una cultura legata al pane, quindi, serve parlare di come coltivare e trattare i terreni per ottenere un prodotto finale pulito, buono e vitale. Poi si parla di quali grani usare, consigliando il ricorso ai grani italiani autoctoni, meglio se da antica semente e quindi caratterizzati da un minore tenore glutinico, suggerendo delle tecniche di molitura con pietre naturali, limitando il ricorso ai cilindri, e delle tipologie di farine corrette per l’impasto, la lievitazione, la lavorazione, la cottura e la conservazione, per la quale sarebbe bene utilizzare tessuti naturali di stoffa grezza o teli di canapa. Ribadisco, però, che anche nella lavorazione del cibo non si devono prendere delle posizioni assolute, integraliste, atteggiamento sempre pericoloso e dannoso. Mi limito semplicemente a dire che quando a muovere un uomo non è il profitto, ma un ideale, si possono ottenere risultati inimmaginabili. Mi piacerebbe sostituire il concetto di filiera con quello di catena alimentare, in cui ogni partecipante interagisce con tutti gli altri. Il pane trasmette un racconto, una storia, la cultura di un territorio, un insieme di saperi e una buona dose di salute, questo non va mai scordato!
Bread philosophy
Antonio Cera is an innovator in bread-making. His Forno Sammarco, at San Marco in Lamis, in Apulia, is an important centre for a new culture of bread. Cera, a graduate in Economics from Bocconi University, works very close to the Paglicci Grotto, where the most ancient flour in the world dating back 32,000 years was found. He is the creator of Grani Futuri (Future Grains), an event fully dedicated to bread, and of the Bread Futurist Manifesto aiming at creating a culture of bread both in terms of taste and nutrition.
How did your passion for bread start?
Every moment of my day is linked to the idea of leavening and its ever-changing emotion. I come from a family that has been practing agriculture for centuries. We became bakers in the 1960s. We used to grow and grind our own wheat enhancing a real bread-making philosophy. My 91-years-old aunt Maria, who still works with us, turned our bakery into a social space. It was a place where everyone could share his own recipes exchanging ideas and products. My mother and aunts still play a major role in our bakery. Lina is the production manager in charge of quality control. Everything is based on manual work, from finding and handling the ingredients, to the great attention paid to sourdough and dough. It’s aunt Maria who breaks all the eggs, separating the yolks from the whites, to prepare Panterrone and other cakes, up to over 3000 eggs a day! I want to valorize at the most the farmers and products coming from my area, but when I find excellent ingredients from elsewhere I’m ready to set up a collaboration with their manufacturers. I often send the fruits of our garden to be candied to Corrado Assenza (Caffè Sicilia at Noto) as he has the best skills to prepare. These are the basic ingredient for some of our 20 varieties of Panterrone.
Bread seemed to have lost its king-ofthe-table role.
Our family use to call bread “imprint”, like the imprints left by the hands that work it. Anciently the first bread was a mixture of water and stone ground cereals, cooked on a hot stone. Italy is a country which has different bread in each district of its 8000 municipalities. Unfortunately, the culture of bread-making is fading away. Most of the bread we eat today is a cultureless bread unable to arouse emotions. That’s why I believe that it’s important to take up the good habit of bringing bread back to the table. No other dish can be shared like bread, the gesture of breaking the bread has in itself the sacredness of an ancestral rite. I recommend a traditional, healthy bread made with a good quality wheat. What a better way to start your lunch than a slice of bread with olive oil! To ancient grains I add grains from Sicily, Abruzzi, Piedmont and Basilicata regions. Every week our bakery makes a different type of bread which is the result of a unique mix of different varieties of ancient grains, depending on the flour available (dicocco spelled, Senatore Cappelli and Maiorca durum wheat, etc.).
The Bread Futurist Manifesto.
Through Grani Futuri (Future Grains) and the Bread Futurist Manifesto, I am trying to promote a culture combined with the development of a certain way of cultivating, grinding, using a type of wheat. It is important not only to promote a bread-linked culture, but to look at the best way to cultivate and treat the land. We deal also with different grains recommending the use of Italian autochthonous grains, better if from ancient seeds with a lower gluten content, the techniques of milling with natural stones as well as the types of flour, dough, leavening, processing, cooking and preservation. When you are inspired by an ideal, not just by a profit-making idea, you can achieve amazing results. I would like very much to replace the idea of supply chain with that of food chain where participants interacts with each other’s. We should never forget that bread passes on a story, a history, the culture of a region, a mix of knowledge with a good deal of health.